2. Nuovi processi per la PA abilitante

2.1 Pubblico Impiego

La scorsa legislatura ha visto un corpus legislativo importante, che è derivato per massima parte dalla legge delega sulla riforma della PA n. 124 del 2015, e che ha modificato in molti aspetti chiave il pubblico impiego. Dalla definizione dei fabbisogni alle nuove regole per le assunzioni e i concorsi, dalla ripartenza della contrattazione alla valutazione dei dirigenti e delle organizzazioni, dal lavoro agile alle nuove regole per i provvedimenti disciplinari, diversi decreti legislativi si sono succeduti per mettere ordine in un campo in cui ancora moltissimi sono gli squilibri.


Lavoro nelle pubbliche amministrazioni

Probabilmente, vista anche la lentezza della divulgazione di dati certificati sul lavoro pubblico che è ferma alla situazione a fine 2016, molti degli effetti delle riforme ancora non sono diventati visibili. Ma al momento nei dati del pubblico impiego non c’è alcuna rivoluzione. I dipendenti pubblici italiani sono 3,2 milioni[1], ancora in calo perché gli effetti dei piani di assunzione inizieranno a dispiegare i loro effetti solo nel 2018, con 246 mila persone uscite e non rimpiazzate dal 2008. Oggi la PA italiana può contare su 70% in meno di dipendenti rispetto alla Germania, il 65% rispetto all’Inghilterra e il 60% della Francia. Pochi i volti nuovi, con appena 64 mila “nuovi dipendenti pubblici”, mentre aumentano i precari, che raggiungono quota 314mila, 25.000 in più rispetto al 2015, su cui ancora non si vedono gli effetti delle recenti politiche di stabilizzazione. Un personale vecchio - età media di 50,34 anni che cresce di 6 mesi ogni anno, oltre 450.000 over 60 -, per il 62% costituito da diplomati, che fa sempre meno formazione (6/7 ore di media ogni anno). Lo stipendio medio è di 34.500 euro, sostanzialmente lo stesso dal 2009, con molte differenze tra i comparti, dai 138 mila euro della magistratura ai 28,4 mila del personale della scuola. Ma la spesa per la collettività è sempre di meno: ammonta a 160 miliardi di euro il costo per tutto il personale della PA, 10 miliardi in meno rispetto al 2009, un risparmio che porta l’Italia in linea con i principali Paesi europei. E ciascun cittadino italiano spende per il lavoro dei dipendenti pubblici 2.632 euro l’anno.


Continuità dell’impegno, reputazione e immagine del lavoro pubblico

In questa fase delicata di cambiamento di legislatura e di governo appare quanto mai necessario una doppia azione della politica tesa da una parte a non ricominciare da zero cancellando un quinquennio di riforme importanti e ancora non metabolizzate, dall’altra a ridare fiducia e reputazione ad un comparto, come quello del lavoro pubblico, che ha subito negli ultimi dieci anni pesantissimi attacchi che ne hanno minato sia la credibilità sia la fiducia.

Raccomandazione 2.1a - Adottare una drastica riduzione della produzione normativa in tema di pubblica amministrazione, concentrandosi invece su semplificazione e azioni di accompagnamento

Si chiede al nuovo governo una moratoria legislativa sui temi della pubblica amministrazione. Basta leggi, o almeno si pratichi una drastica riduzione lasciando solo i provvedimenti che servano a ridurre altre leggi, a diminuire significativamente gli adempimenti, a semplificare i procedimenti e tagliare gli oneri amministrativi in un’azione di semplificazione che richiede tenace pazienza. Non è tempo questo di nuove norme, ma di manuali, di azioni di accompagnamento e di “cura” delle riforme. In particolare per un tema così delicato, come il lavoro pubblico, che interessa la professionalità e la vita stessa di oltre tre milioni di cittadini, è importante impegnarsi in un lavoro continuo orientato alla crescita delle persone in un clima di ritrovata fiducia: fiducia della politica verso l’amministrazione, dei lavoratori pubblici verso la politica, dei cittadini verso entrambi.

Raccomandazione 2.1b - Valorizzare le buone pratiche realizzate dagli enti italiani e promuoverne la diffusione

Appare necessario, per quell’indispensabile ripristino delle condizioni della fiducia, avere la massima attenzione alle diversità di ogni tipologia di amministrazione, dal piccolo comune al grande ente centrale, mettendo in evidenza sempre le tante eccellenze presenti, nate spesso dell’impegno di una unità organizzativa e dei suoi dirigenti, che devono trovare pubblicità, apprezzamento dell’opinione pubblica, effettivi riconoscimenti da parte del governo centrale. Anche appoggiandosi a agenzie indipendenti, il governo dovrebbe curare un catalogo ricco e aggiornato di “buoni esempi”, che porti con sé anche la strumentazione amministrativa utile per replicarlo.


Età, qualifiche e assunzioni

Come si legge con grande evidenza dai dati la PA italiana non è troppo numerosa né costa troppo rispetto ai nostri concorrenti europei, è però troppo vecchia, poco qualificata in generale (ha una percentuale di laureati molto più bassa degli altri paesi europei) e per i particolare compiti specifici a cui oggi è chiamata, è mal distribuita, a causa anche della funzione di ammortizzatore sociale che ha espletato in molte regioni del nostro mezzogiorno. È quindi necessario un’azione che sia soprattutto di riordino organizzativo, che non si può fare “contro” i dipendenti pubblici, ma solo “insieme”a loro e alle loro organizzazioni.

Raccomandazione 2.1c - Lanciare una grande campagna di reclutamento di giovani leve e nuove professionalità

Occorre utilizzare al meglio le norme appena varate sul l’analisi dei fabbisogni e sulle assunzioni per lanciare una grande campagna per reclutare giovani a lavorare per lo sviluppo equo e sostenibile della loro comunità nazionale. Una campagna che cerchi i migliori nelle qualifiche oggi indispensabili, ma che immaginiamo importanti anche per la PA dei prossimi trent’anni. Una PA che non sia fonte di autorizzazioni, certificazioni ed adempimenti, né che lavori ancora su un paradigma bipolare che vede da una parte i cittadini e dall’altra le istituzioni, ma che esca dai “palazzi” per essere regia e stimolo delle forze vitali delle comunità territoriali. Una campagna che cerchi quindi registi dello sviluppo, negoziatori, project manager, analisti e architetti dei dati e tutte quelle professionalità che si espletano nel paradigma della rete. Per far questo, sarà necessario rafforzare il brand della PA come posto di lavoro dinamico, che rende possibile la crescita professionale e le carriere basate sul merito, che sia definitivamente uscito dal paradigma fordista rappresentato plasticamente dal tornello e dalla maniacale attenzione alla presenza fisica.

Raccomandazione 2.1d - Rivedere drasticamente il sistema di selezione dei dipendenti pubblici, aggiornando strumenti e criteri di selezione in base ai nuovi fabbisogni

Curare una revisione drastica degli strumenti di selezione del personale pubblico che, se vogliamo che sia all’altezza dei compiti che oggi ha la PA, non può essere reclutato con strumenti così rozzi come sono ora i concorsi che si pongono come principale obiettivo non la ricerca dei migliori, ma il rafforzamento di automatismi che da una parte deprimono le responsabilità dirigenziali, dall’altra, privilegiano, per evitare qualsiasi contestazione, strumenti poco raffinati che nessuna organizzazione privata userebbe.Test attitudinali, colloqui approfonditi, esame qualificato dei curricoli e delle esperienze, risultati raggiunti anche in altri campi, ma anche propensioni, passioni, responsabilità assunte devono entrare a far parte, almeno per le figure direttive, di qualsiasi processo di selezione che deve quindi essere affidato a strutture competenti e non a commissioni di funzionari che tendano a riprodurre se stessi. Nessun cambiamento della PA sarà possibile senza un deciso cambiamento nell’attirare e scegliere i migliori.

Raccomandazione 2.1e - Promuovere un nuovo piano di formazione dei dipendenti pubblici, sfruttando le opportunità della Programmazione Europea

Occorre curare un rilancio della formazione dei dipendenti pubblici, che sconta uno sciagurato taglio del 50% deciso con la legge finanziaria per il 2009, e che può contare ora di molto meno di quell’1% della massa salariale che pure era nella legge sin dal Ministro Frattini (2001/2002). Una formazione che sia empowerment delle organizzazioni, costruzione di comunità educanti, nascita di gruppi di miglioramento, ma anche formazione puntuale su temi che sono ora indispensabili per qualsiasi lavoratore pubblico. Le risorse della programmazione europea sono indispensabili per questo obiettivo e non vanno disperse in mille rivoli.


Organizzazione e modelli flessibili e adattivi

Spinta da una necessità, pur virtuosa di tagli e di risparmi, è venuta a crescere nelle politiche per il pubblico impiego una tentazione grave di ipercontrollo centralista. tentazione perniciosa perché separa autonomia da responsabilità, ma che spesso si accompagna, insieme alla bramosia del controllo totale, a congiunture difficili per la finanza pubblica. questo centralismo efficientista porta con sé ancora due altri gravi pericoli: in primis la tentazione di vedere una notte in cui tutti i gatti sono grigi, in cui tutti i Comuni sono uguali e tutte le aziende pubbliche hanno gli stessi problemi e gli stessi rischi. Ne consegue la continua tendenza a ipernormare, ma anche di dare scarso o nessuno spazio alla diversità, all’autonomia

L’altro rischio è quello di una continua confusione tra patologia e fisiologia: questo approccio parte dall’idea che poiché esistono patologie, si deve organizzare la vita per prevenire le patologie. Occorre certamente punire le patologie, ma non si può pensare che tutto sia patologico.

Raccomandazione 2.1f - Rimettere il disegno dell’organizzazione alla responsabilità del management e alla contrattazione con le organizzazioni di rappresentanza dei dipendenti

Sarà necessario tenere nella massima considerazione la diversità delle amministrazioni e le loro specificità evitando con ogni cura di normare l’organizzazione. Il disegno dell’organizzazione è il precipuo compito del management, che ottiene i risultati proprio combinando le risorse a disposizione in modo ottimale. Sarà a tal proposito anche necessario lavorare a stretto contatto con le organizzazioni dei lavoratori pubblici, operando soprattutto nel perimetro della contrattazione decentrata che meglio di quella nazionale, può tenere conto delle specificità. Il difficile equilibrio tra la legge, l’autonoma responsabilità della dirigenza e gli strumenti della contrattazione ha visto negli ultimi anni visioni anche completamente diverse. È necessario tornare ad un più equilibrato rapporto che lasci alla legge solo la visione politica e gli obiettivi generale.


Dirigenza pubblica

Il decreto legislativo sulla dirigenza, figlio della legge delega del 2014, era insieme al testo unico del pubblico impiego e al decreto sulla valutazione, parte di una triade destinata ad incidere profondamente sul lavoro pubblico. Il decreto però è stato cassato da una sentenza della Corte Costituzionale e non è stato più ripresentato.

Ci troviamo quindi in una situazione in cui gli altri due decreti sono operativi, ma manca proprio il pilastro legato alla dirigenza.

Che ce ne fosse bisogno è indubbio: giungla retributiva, carriere chiuse, scarsa chiarezza nei meccanismi di assegnazione degli incarichi, poca flessibilità sono difetti immediatamente visibili in una dirigenza che soffre anche per un’età avanzata, per uno squilibrio nelle qualifiche che vede una assoluta predominanza dei saperi giuridici e una quasi totale assenza di saperi tecnici, per una marcata differenza tra amministrazioni sia nelle retribuzioni, figlie di privilegi incrostati, sia nel numero assoluto rispetto ai dipendenti.


Incarichi fiduciari, spoil system, rapporto con la politica

La dicotomia tra chi vorrebbe una dirigenza di carriera, diciamo sul modello francese (almeno nella sua vulgata, perché anche lì le cose stanno cambiando) del tutto indipendente dalla politica, e chi vorrebbe invece la possibilità di uno spoil system più ampio dell’attuale, mettendo in luce la necessità che il manager che attua le politiche sia in sintonia con chi le ha disegnate, ha caratterizzato, a cominciare dalle feroci polemiche sui direttori generali dei Comuni, almeno gli ultimi quindici anni.

È però una dicotomia falsa, perché si deve partire dalla constatazione che non esiste un’unica figura dirigenziale, ma che ne possiamo a questo fine definir almeno due. Il manager pubblico, a cui si chiede di gestire un’unità operativa che attui le politiche indicate dalla politica eletta, e il manager responsabile di una funzione autorizzativa, di controllo o di gestione di appalti, convenzioni e concessioni. Mentre per il primo il rapporto fiduciario con la politica è elettivo, per il secondo dobbiamo pensare a salvaguardarne l’indipendenza.

Raccomandazione 2.1g - Superare la contrapposizione tra visioni dicotomiche (spoil system vs indipendenza), individuando diverse tipologie di dirigenza

Individuare nell’ambito della funzione dirigenziale tipologie diverse per cui sia possibile pensare a diversi incarichi sia fiduciari sia del tutto indipendenti dalla politica. Nel primo caso prevedere strumenti efficaci di check&balance, nel secondo verificar una ragionevole rotazione degli incarichi.


Il dirigente della PA del futuro

I dirigenti che sceglieremo oggi saranno quelli che saranno a capo delle amministrazioni peri prossimi decenni. Ci serve un manager moderno, europeo, conscio delle potenzialità della trasformazione digitale, esperto nella gestione e nella crescita delle persone. Il punto è come rendere desiderabile ai migliori il lavoro pubblico, come selezionare il dirigente giusto, come tenerselo e farlo crescere.

Raccomandazione 2.1h - Rendere desiderabile e appetibile il lavoro nella PA

Per reclutare i migliori è necessario attuare azioni di informazione presso le università e passare da un atteggiamento di attesa delle candidature ad un atteggiamento di stimolo verso Ie figure potenzialmente più interessanti.

Raccomandazione 2.1i - Favorire la mobilità dei dirigenti, sia tra mondo pubblico e privato, sia a livello Europeo

Un manager moderno deve poter spaziare su più contesti lavorativi. Deve essere favorita al massimo sia l’osmosi tra il pubblico e il privato che, prevista già dalle riforme Bassanini, non ha trovato applicazione reale nella PA dove la stragrande maggioranza dei dirigenti apicali proviene da una carriera solo pubblica. Altrettanto deve essere considerata determinante un’esperienza in un contesto europeo, meglio se presso le strutture dell’Unione. Ovviamente deve essere considerata condicio sine qua non la conoscenza di una o meglio due lingue comunitarie e una cultura almeno di base della trasformazione digitale, cosa del tutto diversa dal saper usare gli strumenti.

Raccomandazione 2.1l - Prevedere nuove forme di lifelong learning per i dirigenti

È necessario prevedere per tutta la dirigenza una formazione continua (sulla falsariga della ECM in sanità) che sia basata però non tanto su momenti frontali, quanto sulla costruzione di comunità di pratica trasversali, organizzati anche con le professionalità di soggetti terzi, e su momenti di coaching.


Valutazione delle performance

Valutare le performance, organizzativa ed individuale, non significa semplice osservanza di procedure, ma capacità di produrre cambiamento in avanti per tutti, superando anche la cooptazione, tutta italica, che ha da tempo dimostrato nei fatti come in generale siamo più “amici e parenti” che cittadini responsabili.

Le riforme degli ultimi anni hanno permesso di fare passi in avanti, anche se per permettere di elevare la pubblica amministrazione italiana occorre certamente liberarla da pesi che, più che normativi, sono organizzativi e comportamentali: la valutazione è stata insieme sopravvalutata nei suoi effetti sistemici, minimizzata negli effettivi impatti, sia individuali che per le organizzazioni, e infine trascurata nella sua esecuzione.

In un processo mondiale di crescente competitività del sistema, si gioca sempre di più, oltre che su fattori interni all’economia su condizioni esterne, sia in termini di dotazioni infrastrutturali/materiali che immateriali/di sistema. Una pubblica amministrazione che funziona è una pubblica amministrazione che sa valutare e scegliere dove andare.

La valutazione delle performance, individuale ed organizzativa, è innovazione. E l’innovazione è il principale driver di sviluppo.

Di questa necessità macro dovrà tener conto subito il nuovo Governo.


Il ruolo della valutazione

La valutazione è stata oggetto di numerose e diverse riforme nell’ultimo ventennio, tutte probabilmente giustificate, ma che non sono riuscite a far uscire tale pratica dal novero degli adempimenti e delle carte da riempire.

Opinione diffusa tra gli addetti ai lavori è che in Italia la valutazione delle performance venga fatta spesso male, per ‘Amministrazioni distratte’ che la percepiscono come dovere quando va bene, e come strumento retorico quando va male.

Fondamentale per la crescita del paese diventa pertanto la diffusione di una cultura della valutazione, che non può essere lasciata né alla legge, né tantomeno ad una classe di tecnocrati, ma che dovrebbe ispirare tutta la programmazione sia da parte della politica che individua gli obiettivi, sia da parte dell’amministrazione che definisce i modi dell’attuazione.

Raccomandazione 2.1m - Promuovere il principio della valutazione come parte integrante della programmazione, stabilendo però obiettivi effettivamente raggiungibili dalle diverse amministrazioni

È necessario che passi nei comportamenti delle organizzazioni il principio che la valutazione è parte fondamentale della programmazione, e che gli indicatori e gli strumenti vanno definiti in quella fase, in questo senso la valutazione deve prendere in considerazione soprattutto gli outcome, i benefici effettivi per il pubblico target. Già il D.lgs. 74/2017 nell’ambito della riforma Madia lo stabilisce con chiarezza individuando degli obiettivi “generali” della Repubblica. Sarà poi necessario che gli organismi preposti (in questo momento il Dipartimento della Funzione Pubblica) non assegnino alla valutazione compiti impossibili. Non ha senso valutare organizzazioni che non hanno organici adeguati per numero o competenze, non hanno modelli organizzativi efficaci, non hanno la gestione di adeguate risorse né economiche né strumentali.


Gli Organismi Indipendenti di Valutazione

Il d.lgs. n. 74/2017 di riforma del d.lgs. n. 150/2009, interviene modificando il sistema di misurazione delle performance, attribuendo agli OIV nuovi poteri e capacità di iniziativa per il miglioramento della valutazione, con riflessi sull’organizzazione amministrativa, inserendo alcune novità all’interno del processo valutativo con la partecipazione diretta dei cittadini e degli utenti in grado di poter segnalare le proprie osservazioni, incrementando la trasparenza nell’attività pubblica. Tale decreto non sembra aver sortito ancora gli sperati effetti nemmeno nella sua formale esecuzione, se è vero che il monitoraggio del Dipartimento della Funzione Pubblica rileva decine di ritardo e di inadempimenti.

Raccomandazione 2.1n - Rivedere criteri di selezione, ruolo e status dei componenti degli OIV

Sarà necessario curare maggiormente la selezione (che non può essere solo per titoli e su base volontaristica, che trova uno stop solo in assenza dei titoli necessari o se è presente un impedimento di legge), il ruolo e lo status dei valutatori degli OIV. Occorre ridurre al minimo, o meglio eliminare, gli organismi monocratici laddove manca la necessaria dialettica interna. Costruire insieme ai valutatori stessi un codice deontologico della professione. Curare il mantenimento e l’aggiornamento di competenze e professionalità adeguate e sperimentate attraverso una continua formazione in itinere che sia obbligatoria per la permanenza nell’elenco (una sorta di Coverciano dei valutatori). Elevare i limiti di partecipazione a più OIV nell’Elenco Nazionale DFP. Ridurre drasticamente gli adempimenti amministrativi degli OIV, che da valutatori si sono ridotti a burocrati produttori di report adempimentali


La valutazione da parte dei cittadini

Pur se normato più volte è previsto esplicitamente sia nella Riforma Brunetta che nella Riforma Madia, il contributo del giudizio dei cittadini singoli o associati nella valutazione delle organizzazioni è ancora di là da venire. È mancata tutta la regolamentazione che potesse dar vita alle norme. Ma è mancata soprattutto sia la volontà effettiva di realizzazione di questa rivoluzione copernicana, sia la fiducia che questa avrebbe portato effettivo giovamento. I cittadini quindi sono stati spessissimo richiamati dalle norme, ma mai chiamati davvero a dire la loro.

Raccomandazione 2.1o - Avviare forme di auditing civico

Occorre avviare sperimentazioni serie e verificabili di auditing civico in diverse tipologie di enti, attraverso un investimento importante sia di risorse, sia di relazioni con i soggetti della cittadinanza organizzata. Occorre inoltre dare evidenza dei risultati delle sperimentazioni e discuterli con la dirigenza apicale degli enti.


2.2 Nuovi modelli organizzativi

Il progresso amministrativo non potrà che allontanarsi sempre di più dal mero adempimento formale dei dipendenti pubblici, in favore di una crescita a 360 gradi, che veda un giusto bilanciamento tra digitalizzazione dei processi e empowerment del personale amministrativo, declinato in tre rivoluzioni trasversali:

  1. Concepire la transizione digitale come leva per un’organizzazione efficiente;
  2. Favorire i meccanismi di lavoro flessibile orientato al risultato;
  3. Completare il processo di crescita digitale dei dipendenti pubblici.

Impatti organizzativi della Digital Transformation

La transizione della PA verso modelli organizzativi adeguati alle sfide dell’innovazione sostenibile non può prescindere da un corretto rapporto con l’evoluzione tecnologica. Una delle principali caratteristiche dell’innovazione digitale è la sua pervasività: non esiste aspetto o attività, all’interno di qualsiasi organizzazione complessa, che non sia interessato dal cambiamento paradigmatico imposto dall’avvento delle tecnologie del digitale. Al giorno d’oggi, non ha più senso parlare di IT a supporto del business, in quanto tutti i processi core dell’ente sono (o dovrebbero essere) intrinsecamente basati sulla tecnologia.

Raccomandazione 2.2a - Promuovere nuovi modelli di interazione tra direzione IT e strutture di business, improntati alla collaborazione e al concetto di rete

Molte delle strategie di trasformazione digitale adottate dalle amministrazioni italiane rimangono ancora oggi appannaggio esclusivo della funzione IT. Il risultato è rappresentato da piani concepiti nelle segrete stanze dei tecnologi, di cui le altre funzioni rimangono meri destinatari.

Una strategia di change management, coerente e di largo respiro, richiede invece un coinvolgimento delle diverse funzioni dell’organizzazione, chiamate a diventare i veri protagonisti dei processi di cambiamento, all’interno di una rete di innovatori, rispetto al quale la direzione IT assumerebbe il ruolo di pivot, soggetto catalizzatore della domanda di innovazione e facilitatore del complessivo processo di trasformazione organizzativa e tecnologica.

Le modalità di interazione potranno poi variare a seconda delle specificità dell’ente, passando dal coinvolgimento dei referenti delle diverse strutture di business nello sviluppo dei progetti strategici in materia di ICT alla presenza stabile di funzionari informatici in ogni direzione e ufficio, al fine di abilitare una vera “contaminazione digitale” (cit. Luca Attias).

Raccomandazione 2.2b - Ripensare il ruolo della direzione IT nelle PA, abbandonando il modello dei silos verticali a favore di strutture per l’innovazione multidisciplinari e trasversali alle diverse funzioni

Nuovi modelli di interazione necessitano di trasformazioni strutturali delle attuali direzioni IT. In un modello di innovazione a rete, il cambiamento non può essere guidato da un soggetto confinato in una direzione a sé stante, parallela alle altre nell’ottica dell’organizzazione per silos verticali.

Occorre valorizzare l’esperienza di alcuni enti pionieri, che hanno aggregato la funzione organizzazione con quella IT o improntato la loro strategia di change management sulla sinergia tra sistemi informativi, organizzazione, risorse umane e comunicazione. Una possibile linea evolutiva delle direzioni IT della PA, almeno di quelle più grandi, potrebbe essere rappresentata dall’esperienza del Team Digitale. L’idea sarebbe quella di proiettare il modello di una unit per la trasformazione digitale dal livello centrale a livello di singolo ente, trasformando la tradizionale direzione per i sistemi informativi in un vero e proprio team per l’innovazione, composto in parte dalle stesse persone della precedente struttura, ma connotato da un’elevata trasversalità e da un mandato completamente differente: guidare la trasformazione dell’organizzazione applicando la digitalizzazione.

Per gli enti più piccoli, i team per l’innovazione potrebbero essere creati e gestiti in forma associata, aggregando le strutture per dominio tematico o comparto territoriale, e mettendo in comune risorse, persone e competenze.

Raccomandazione 2.2c - Ripensare il ruolo del CIO negli enti pubblici, valorizzandone il carattere strategico nel complessivo percorso di ammodernamento della PA

L’evoluzione della direzione IT porta con sé l’evoluzione del suo vertice, il CIO, chiamato a combinare le necessarie competenze tecnico-informatiche con una profonda conoscenza delle attività core dell’ente, un’elevata capacità di gestione delle relazioni con i clienti interni (demand) ed adeguate competenze gestionali e manageriali. Tale evoluzione è stata in qualche modo riconosciuta anche in ambito pubblico, attraverso l’introduzione della figura del responsabile della transizione al digitale, disciplinata dalla nuova versione dell’art. 17 del CAD.

La relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sulla digitalizzazione della PA ha evidenziato il grave ritardo delle PA nel rispetto di tale adempimento. Nella prossima legislatura sarà fondamentale monitorare e promuovere l’attuazione alla previsione dell’art 17 del CAD, almeno nelle amministrazioni più grandi.

Nelle amministrazioni più piccole, dove questo modello pare inapplicabile a causa della carenza di competenze e risorse, bisognerà invece promuovere la forma associata per lo svolgimento delle funzioni del responsabile per la transizione al digitale, come previsto dallo stesso art. 17 del CAD.

Raccomandazione 2.2d - Promuovere la consapevolezza dei benefici legati alla transizione al digitale

Il successo dei processi di trasformazione della PA necessita dell’engagement dei dipendenti pubblici. Un aspetto ancora molto complesso, a causa di diffidenze culturali, di un timore diffuso verso il cambiamento e da una forma mentis ormai radicata orientata a procedure e adempimenti formali.

Per rompere questo circolo vizioso è necessario promuovere la consapevolezza dei benefici legati all’avvento della modalità operativa digitale, aumentando in questo modo il grado di partecipazione e coinvolgimento dei dipendenti nei processi di cambiamento e facilitando così il lavoro dei responsabili di tali processi. In questo senso, lo smart working può rappresentare un volano fondamentale per aumentare la percezione dei vantaggi legati al digitale.


Smart working

Lo smart working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività. La legge 81/2017 fornisce una definizione puntuale del Lavoro Agile disciplinandone gli aspetti legati all’adozione all’interno delle organizzazioni. È un cambiamento che necessita l’adozione di un approccio strutturato e graduale che consenta di sperimentare, misurare e personalizzare il modello sulle specificità delle diverse realtà organizzative, accompagnando il cambiamento culturale a tutti i livelli. Lo smart working rappresenta, dunque, un nuovo approccio manageriale, nel modo di lavorare e collaborare all’interno di una organizzazione, basato su flessibilità organizzativa, autonomia e responsabilizzazione.

L’art. 14 della legge Madia introduce la possibilità per le pubbliche amministrazioni di sperimentare nuove modalità spazio-temporali di svolgimento del lavoro. Allo stesso modo, la Direttiva 3/2017 sullo smart working fornisce le Linee Guida di attuazione della legge Madia, fissando modalità e criteri di utilizzo dell’istituto, e ponendo l’obiettivo di consentire ad almeno il 10% dei dipendenti pubblici, ove lo richiedano, di avvalersi delle nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa.

Dal punto di vista normativo, la legge sul Lavoro Agile rappresenta un framework moderno e in alcuni casi più avanzato di quelli presenti anche in altri Paesi europei e costituisce un passo avanti nella diffusione dello smart working in Italia. Contestualmente, si registra ancora la mancanza di una trasposizione concreta nella struttura organizzativa amministrativa.

Raccomandazione 2.2f - Limitare le conseguenze negative che la burocrazia difensiva può avere sullo smart working

È opportuno salvaguardare senza appesantire l’attuale quadro normativo esistente, proteggendo la discrezionalità degli Enti pubblici nel declinare la flessibilità organizzativa sulle caratteristiche delle proprie attività lavorative e assicura un’ampia applicabilità. È importante favorire un processo in atto che risulterebbe fortemente rallentato in caso di introduzione di adempimenti o vincoli burocratici che ne limiterebbero l’adozione.

L’aspetto critico che rallenta l’implementazione di questo strumento è il contesto culturale della pubblica amministrazione italiana, che si presenta come impreparata ad adottare un approccio strutturato e graduale che consenta di sperimentare, misurare e personalizzare il modello sulle specificità delle diverse realtà organizzative.

Raccomandazione 2.2g - Innescare un processo culturale di accettazione dello smart working

L’introduzione dell’istituto, che non si configura come telelavoro o forma di conciliazione, risulta prioritario per i seguenti motivi:

  1. valorizzare il potenziale della riforma della PA in termini di meritocrazia e valutazione degli obiettivi e migliorare la qualità del management;
  2. accelerare il processo di trasformazione digitale, introducendo strumenti, metodologie, approcci che consentono di preparare un futuro digitale;
  3. innescare pratiche di engagement dei lavoratori della PA, dando un credito di fiducia che li porti a una maggiore voglia innovare con un orientamento al servizio e restituzione al cittadino;
  4. possibile risparmio dei costi sul personale impiegato;
  5. aumento della produttività, in termini di motivazione ed energie.

Empowerment e competenze digitali

Le criticità che si configurano all’interno delle PA per il raggiungimento del progresso auspicato in termini di competenze digitali sono sostanzialmente tre:

  1. Il fattore umano, inteso come mancanza di cultura del digitale, e conseguente lacuna di professionalità;
  2. Carenza di competenze specifiche di settore;
  3. Incapacità di mettere a sistema le buone pratiche esistenti.

Per il superamento del gap, una possibile soluzione è da ritrovarsi negli strumenti trasversali di ascolto, coinvolgimento e partecipazione dei cittadini, collaborazione tra le amministrazioni, programmazione e gestione strategica, partendo da quattro priorità di intervento:

  1. Ristrutturazione della macchina amministrativa, intesa come reingegnerizzazione dei processi attraverso le nuove tecnologie rendendoli trasversali;
  2. Sviluppo delle competenze digitali all’interno della pubblica amministrazione;
  3. Collaborazione amministrativa come prassi di lavoro;
  4. Identificazione di e-leader, dirigenti-manager in grado di accompagnare i propri collaboratori nella transizione digitale.

Raccomandazione 2.2h - Creare un coordinamento tra i soggetti chiamati alla realizzazione della strategia nazionale

Nel capitolo sulla Gestione del cambiamento del Piano Triennale è stata ribadita la necessità di coordinamento tra soggetti diversi nel ruolo, nella funzione e nell’organizzazione. A fare da raccordo tra questi l’Agenzia per l’Italia digitale, che ha il compito di guidare le attività relative all’evoluzione strategica del sistema informativo della pubblica amministrazione.

AgID, infatti, promuove la diffusione delle competenze digitali per imprese, cittadini e pubblica amministrazione, e supporta la crescita delle competenze digitali nei diversi ambiti, con iniziative specifiche che coinvolgono:

  1. le competenze digitali di base (utenti e funzionari amministrativi)
  2. le competenze specialistiche (professionisti ICT)
  3. le competenze di e-leadership (dirigenza)

Relativamente al tema delle competenze di base nella PA, AgID ha avviato a fine 2017 la sperimentazione di auto-valutazione (self-assessment) per ottenere una fotografia delle abilità interne, conoscenze e competenze rispetto al modello DigCOMP 2.1 per gli utenti amministrativi (il modello è stato recentemente tradotto in italiano nella sua versione aggiornata dal Team Digitale).

Raccomandazione 2.2i - Colmare la lacuna che esiste tra l’assessment e il piano della formazione

Ciò che rimane oscuro è come si passi dal problema alla soluzione, per cui sarebbe prioritario definire una strategia univoca che traduca i risultati dell’assessment iniziale in un piano di formazione immediatamente implementabile.


2.3 Partecipazione e Trasparenza

L’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, contenuto all’ultimo comma dell’Art. 118 Cost., che disciplina l’autonoma iniziativa dei cittadini, ha ricadute dirette in due settori di indagine:

  • Nei meccanismi di rilascio delle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni ai cittadini, e viceversa, ossia nella gestione delle informazioni rilasciate dai cittadini quotidianamente in qualità di utenti
  • Nelle nuove forme di attivismo civico esistenti a livello locale o centrale

Dal punto di vista della trasparenza e del rilascio dei dati in formato aperto, il quadro si mostra generalmente confuso. Dal punto di vista normativo,oggi sono disponibili tre modalità di accesso:

  1. Accesso agli atti (legge sul procedimento amministrativo);
  2. Accesso civico (D.lgs. n. 33/2013);
  3. Accesso generalizzato previsto dal FOIA.

Talvolta questa tripartizione genera l’impasse nelle stesse pubbliche amministrazioni, responsabili della messa a disposizione dei dati. A questo si aggiunge la mancanza di una cultura della trasparenza al di là delle prescrizioni di legge, che favorisca l’emergere di nuove opportunità per conoscere se stesse in relazione ad altre.

Sul fronte dell’attivismo civico, fa fede il concetto di Onlife, una realtà che non distingue più tra essere online e offline. Siamo in un reale ibrido, dove il digitale è solo una parte del tangibile[2].


Nuove forme di attivismo civico

Nell’ottica del superamento del rapporto bipolare tra istituzioni e cittadino, emerge l’esigenza di un cambio di paradigma nell’elaborazione delle policy pubbliche, che limiti la prepotenza burocratica che ha finora caratterizzato le scelte amministrative.

Il concetto di cittadinanza è mutato sia da un punto di vista strumentale (adesso non distinguiamo più tra cittadinanza analogica e cittadinanza digitale, entrambe pesano allo stesso modo), sia dal punto di vista dei contenuti che i cittadini producono in qualità di utenti (il cittadino come consumatore non agisce più solo come destinatario finale dell’informazione o del processo, ma diventa risorsa per la quantità di informazioni che produce in prima persona, e che condivide).

Raccomandazione 2.3a - Incentivare l’utilizzo di piattaforme civiche libere

Sarà opportuno favorire sempre di più la creazione e la manutenzione dei luoghi dello scambio di informazioni tra cittadini-utenti, formando i cittadini sui diversi strumenti a disposizione, che diano loro la percezione di come le decisioni sono state prese e per quali finalità. Le informazioni dovrebbero essere non solo disponibili, ma anche fruibili per favorire l’empowerment e l’engagement.

Raccomandazione 2.3b - Innescare un processo di datificazione delle città

Nella progettazione, ad esempio, di una smart city, i dati forniti dai cittadini come produttori è necessario che diventino beni comuni digitali (digital commons) utili attraverso:

  • Normazione a livello centrale dei processi di profilazione dell’utente
  • Mappatura e analisi contestuale delle buone pratiche esistenti
  • Standardizzazione di una cultura civica digitale condivisa

Raccomandazione 2.3c - Coordinare a livello centrale le buone pratiche territoriali

Le nuove forme di attivismo civico sono nate in maniera spontanea, e hanno finora creato esternalità positive per la comunità intera, non incidendo su risorse pubbliche se non in piccola parte, e facendo trarre vantaggio anche alle pubbliche amministrazioni. Il prossimo passo, dovrebbe essere quello da parte delle istituzioni di recuperare la governance dei processi partecipativi, trainando dall’alto il cittadino, mentre quest’ultimo “preme” dal basso.

In questo senso, un coordinamento nazionale di quello che è già attivo sui territori diventa un elemento prioritario nella nuova agenda di governo, che possa fissare degli standard nazionali, limiti di spesa, garanzie di accesso e previsioni di finanziamento regionale, partendo da uno stato dell’arte sulla reale domanda di partecipazione, superando il livello delle linee guida alla consultazione, arrivando a un manuale della partecipazione e dei beni comuni materiali e immateriali (Participation Act). Un primo tentativo su questo punto è stato presentato lo scorso anno in Camera dei Deputati, come una proposta di legge dal titolo “Più democrazia, più sovranità al cittadino”, che ha proposto la modifica di alcuni articoli del TUEL.


Trasparenza

Sul tema della trasparenza, appare piuttosto critica la distanza esistente tra la concezione teorica della messa a disposizione dei dati,e quanto accade nella realtà locali e centrali. Se da un punto di vista normativo il quadro è saturo di indicazioni sulle finalità e obiettivi del rilascio in formato aperto dei dati (dalla legge sul Procedimento Amministrativo al FOIA), dal punto di vista pratico è ancora molto difficile individuare modalità coordinate di applicazione delle norme.

Raccomandazione 2.3d - Diffondere e monitorare l’effettiva applicazione del diritto di accesso civico

Risulta ormai necessario e prioritario dare effettivo seguito alle disposizioni previste dal D.Lgs 33/2013 e successive modifiche, nonché da quanto introdotto con il FOIA, il Freedom of Information Act italiano. In questo senso, sarà utile - e ormai imprescindibile - favorire la conoscenza e la lettura dei dati da parte dei cittadini, offrendo siti leggibili, percorsi semplificati di accesso alle informazioni, interpretazioni e letture dei dati, interpretazioni e letture chiare sulle modalità di accesso oggi disponibili: l’accesso agli atti (legge 241/90), l’accesso civico e infine l’accesso generalizzato previsto dal FOIA.

Raccomandazione 2.3f - Potenziare e valorizzare l’adesione italiana all’Open Government Partnership

Sulla spinta del FOIA, l’adesione italiana all’Open Government Partnership, iniziativa internazionale che punta a ottenere impegni concreti in termini di promozione della trasparenza e di sostegno alla partecipazione civica, ha visto un sempre maggiore coinvolgimento e investimento in questo percorso. Con il nuovo approccio, diverse amministrazioni e associazioni hanno partecipato ai tavoli, con un miglioramento del livello di confronto e partecipazione pur in presenza di alcuni limiti. Ad esempio, i tavoli talvolta non sembrano essere stati utilizzati per far incontrare domanda e offerta di dati, ma per lo più è stato chiesto alla società civile di confrontarsi con obiettivi già definitivi dalle amministrazioni e con decisioni già assunte.

Il processo, in tutti i casi, sebbene sia da aggiornare, ha presentato già qualche buon risultato in termini di comunicazione e avvicinamento tra istituzioni e cittadini.


2.4 Comunicazione Pubblica

Negli ultimi anni l’accelerazione imposta dal digitale - social network, chat, siti web user-friendly – ha definito i tratti innovativi della nuova comunicazione pubblica. Il rapporto tra cittadini e PA passa attraverso un rilancio dell’attività comunicativa e un nuovo design dei servizi pubblici. Le richieste dei cittadini impongono il superamento di una cornice normativa rimasta immutata, quella della legge 150/2000, che ha vissuto in questi 18 anni un lento percorso di attuazione, nonostante contenesse le premesse per una comunicazione capace di rispondere all’esigenza di informare i cittadini.

L’urgenza di approdare a una PA digitale, trasparente e open è riscontrabile nel D. Lgs. 97/2016, il cosiddetto decreto del FOIA italiano, che conferma molte delle norme del D Lgs. 33/2013: raccomanda l’uso sistematico e professionale dei social media e riconosce il ruolo del cittadino-valutatore. Assicurare l’accesso a internet per i pubblici dipendenti e utilizzare i social network per la trasparenza sono indicazioni entrate anche a far parte di documenti strategici quali il 3° Piano d’azione Open Government In Italia (2016 – 2018) e il Piano triennale per l’Informatizzazione delle PA.

Diverse sono le iniziative recenti, come quella della Federazione nazionale della Stampa italiana e dell’Ordine dei Giornalisti che hanno rilanciato le attività e le professionalità comunicative nei quattro contratti del pubblico impiego, firmati tra dicembre e febbraio scorsi: funzioni centrali, funzioni locali, sanità e istruzione e ricerca. Sono stati inseriti in appositi articoli i nuovi profili della comunicazione e dell’informazione. È stata introdotta per la prima volta la dimensione professionale del giornalismo pubblico che dovrà, naturalmente, diventare unificante delle funzioni comunicative all’interno di un ufficio unico. È stata anche firmata una dichiarazione congiunta tra Federazione nazionale della Stampa italiana e l’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni - Aran - in cui è stato ribadito che le attività relative all’informazione della pubblica amministrazione (come l’adesione alla CASAGIT, all’INPGI) devono essere gestite con le associazioni di categoria (sindacato e giornalisti). Un’indicazione già contenuta nella legge 150/2000 e che trova ora attuazione.

Il lavoro sulla qualità dei servizi e delle informazioni e sulla qualità del rapporto con il cittadino porta con sé l’esigenza di ripensare ai nuovi linguaggi e alla grammatica dei siti. L’AgID ha fornito Linee guida per il design dei servizi digitali della Pubblica Amministrazione, ora in consultazione.

Costituisce un ottimo supporto per tutti i professionisti della comunicazione, che lavorano all’interno della pubblica amministrazione, anche il progetto Designer Italia del Team per la trasformazione digitale. Si tratta di un kit di strumenti disponibili, contenente web analytics, test usabilità, web toolkit.

Raccomandazione 2.4a - Promuovere un modello organizzativo unico

I cambiamenti in atto impongono il superamento delle vecchie divisioni, la proposta di un modello organizzativo unico e diffuso, nel quale far confluire sia le funzioni tradizionali sia le nuove (come consultazioni pubbliche, trasparenza, valutazione, customer satisfaction), il riconoscimento di un profilo unitario, quello del giornalismo pubblico che ricomprenda tutte le figure tradizionali quanto le nuove (addetto stampa, social media manager, social media strategist e community organizer). Occorrono anche approcci nuovi per la comunicazione interna, nuovi modelli di lavoro agile, nuove competenze.

[3]

Raccomandazione 2.4b - Inserire la comunicazione nel sistema pianificatorio delle PA

La comunicazione deve acquisire dignità nel sistema pianificatorio degli enti pubblici e occupare un ruolo nel processo e negli obiettivi generali di performance, secondo criteri di valutazione basati su reali indicatori di qualità.

Raccomandazione 2.4c - Promuovere un aggiornamento delle competenze dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni

L’Autorità, nel quadro dei suoi compiti di regolazione, ha esplicite competenze nell’ambito del mainstream, nella comunicazione tradizionale e nella comunicazione 1.0, in cui sono evidenti le identità e le responsabilità editoriali dei soggetti e delle imprese; ha pochissimi poteri, se non quelli di moral suasion, nei confronti degli over the top (si pensi alla non attendibilità e affidabilità di alcune notizie, all’hate speech e alle fake news).

Raccomandazione 2.4d - Adottare una nuova legge sulla comunicazione

Manca invece un forte supporto (politico e normativo) che ne legittimi la funzione strategica e di coordinamento e che, al tempo stesso, riveda le convenzioni sull’essere lavoratori / comunicatori istituzionali nell’era del civic hacking.


2.5 Gestione documentale

Oggi sono ancora poche le pubbliche amministrazioni che hanno definito piani concreti finalizzati a rendere operativa una sistematica trasformazione digitale delle loro attività e della produzione documentaria che ne deriva. Non si è ancora consapevoli del difficile livello di sostenibilità economica di alcune soluzioni e della immaturità delle piattaforme e delle infrastrutture digitali disponibili. A livello normativo, nell’ultimo anno, si segnalano alcune particolari iniziative:

  • il Piano Triennale che ha, per alcuni ambiti, affrontato in modo nuovo temi che sembravano definiti e consolidati;
  • Ia circolare 2/2017 del Ministro per la semplificazione e la PA per l’attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (FOIA): le Linee Guida che offrono un supporto concreto agli enti, sciogliendo dubbi interpretativi e proponendo (all’Allegato 3. Modalità di realizzazione del registro degli accessi) soluzioni tecniche basate sul riuso delle infrastrutture di protocollo esistenti, individuando scenari di varia complessità, ma tutti caratterizzati dal principio dell’integrazione e dell’interoperabilità;
  • l’articolo 40-ter del CAD “Sistema di ricerca documentale”, finalizzato a sperimentare un sistema “volto a facilitare la ricerca dei documenti soggetti a registrazione di protocollo” e “dei fascicoli dei procedimenti”.

Conservazione

La conservazione digitale è stata in questi anni al centro di molte iniziative regolamentari, che hanno determinato la nascita di decine di operatori di mercato accreditati, a fronte di un numero molto esiguo di proposte provenienti dal settore pubblico. Il Piano Triennale ha ipotizzato l’individuazione di poli strategici di conservazione; non è chiara la loro funzione rispetto a quella già svolta dagli operatori accreditati. Il modello di riferimento finora realizzato ha bisogno di ulteriore elaborazione che tenga conto della reale e concreta dimensione del problema, in termini sia quantitativi sia qualitativi.

Raccomandazione 2.5a - Definire con maggior chiarezza i modelli organizzativi dell’archiviazione

In particolare va definito il modello organizzativo che riguarda l’archiviazione e la conservazione a norma, su cui il Piano Triennale è intervenuto riconoscendo il ruolo dell’Archivio centrale dello Stato, ma lasciando parzialmente irrisolto il sistema delle responsabilità istituzionali in tema di vigilanza e la complessità di gestione degli archivi ibridi.


Soluzioni per la gestione documentale

La questione delle piattaforme è un problema di qualità in relazione sia a quelle esistenti, sia alla normativa in materia di riuso del software. Le soluzioni informatiche per la gestione informatica dei documenti e, soprattutto, per la conservazione digitale devono garantire livelli di qualità che permettano la formazione e la tenuta a medio e a lungo termine dei nostri patrimoni di memoria documentaria richiedono.

Raccomandazione 2.5b - Migliorare gli strumenti di controllo della qualità delle piattaforme, attraverso la definizione di requisiti funzionali

Gli strumenti di controllo devono individuare, in maniera ragionata, requisiti funzionali anche in riferimento alla concreta gestione di soluzioni di riuso. Servono check-list per definire i requisiti obbligatori e misurarne il rispetto nei prodotti di mercato.


Attività di coordinamento e collaborazione

Una chiara distinzione tra indirizzi politici e operatività tecnica di alto livello è, per tutti gli interlocutori, il nodo principale da sciogliere il più rapidamente possibile.

Raccomandazione 2.5c - Definire in modo chiaro a chi spetta il ruolo di coordinamento e monitoraggio delle esperienze

Va limitata la moltiplicazione di istituzioni con compiti di natura strategica e va affidata alle strutture esistenti (Agid e DGA) ruoli di coordinamento sia nella individuazione di modelli e standard tecnici di settore, sia nel monitoraggio e nella condivisione delle esperienze.

Raccomandazione 2.5d - Meno norme, più collaborazione per completare il quadro regolamentare

Limitare gli interventi normativi e gestire con un approccio basato sulla cooperazione inter-istituzionale e aperto agli stakeholder i passaggi necessari a completare il quadro regolamentare, inclusa la stesura delle Linee Guida previste dal D. Lgs. 217/2017 che ha modificato il CAD. Servono strumenti e contesti di cooperazione istituzionale che favoriscano la collaborazione e il confronto.

Raccomandazione 2.5e - Riconoscere il ruolo cruciale delle competenze tecniche

Le competenze digitali archivistiche e organizzative sono necessarie. Va promossa la presenza di adeguati profili professionali sia nel settore pubblico, che nelle imprese che operano in questo ambito.


2.6 Procurement pubblico

Circa il 14% del PIL dell’Unione Europea passa per il procurement pubblico (cfr. Commissione Europea del 3.10.2017 (COM)2017 572 final “Appalti pubblici efficaci in Europa e per l'Europa”). In Italia i valori sembrerebbero essere leggermente più contenuti, entro il 10% del PIL. Si tratta, evidentemente, di un settore in grado di incidere in modo estremamente significativo sull’economia del nostro Paese. Nel 2016 è entrata in vigore una riforma profonda della materia degli appalti pubblici, in parte sulla scia dell’evoluzione normativa determinata dalle Direttive europee del 2014 (23, 24 e 25), in parte rispondente ad esigenze e strategie di carattere nazionale. Il nuovo approccio promosso dal D.Lgs. 50/2016 si basa su un nucleo normativo il più possibile asciutto, che dovrebbe costituire la regolamentazione fondamentale della materia, su provvedimenti attuativi in senso proprio e su una regolamentazione flessibile di supporto alle stazioni appaltanti, che in parte specifichi meglio i precetti normativi, in parte funga da strumento per la diffusione delle buone pratiche.


Qualificazione stazioni appaltanti

Uno dei pilastri del Nuovo Codice, forse il più importante, è costituito dalla qualificazione delle stazioni appaltanti, dalla loro professionalizzazione e concentrazione. Fino a quando questo aspetto della riforma non sarà attuato non vi potrà essere un reale cambiamento del sistema.

Raccomandazione 2.6a - Adottare al più presto gli atti attuativi del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti

La qualificazione delle stazioni appaltanti avrebbe dovuto rappresentare la vera chiave di volta del sistema, ma che è ancora di là da venire e, comunque, difficilmente potrà essere efficacemente realizzata in carenza di adeguati investimenti che non sembrano essere stati previsti.


Valutazione offerta

Lo spostamento netto dell’ago della bilancia verso la valorizzazione degli aspetti tecnici e qualitativi delle offerte, piuttosto che verso la depressione sistematica dei corrispettivi riconosciuti agli offerenti, ha rappresentato forse una delle maggiori conquiste del Nuovo Codice.

Raccomandazione 2.6b - Favorire gli strumenti di valutazione e misurazione della qualità che diano garanzia di oggettività e attendibilità

Occorre incoraggiare (e anche formare) le stazioni appaltanti nell’individuare criteri di valutazione delle offerte che realmente privilegino aspetti qualitativamente rilevanti ed effettivamente necessari, in modo che l’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità prezzo non resti un mero esercizio di stile.


Analisi della spesa

Si è fatta forte l’esigenza di un monitoraggio costante dell’andamento della spesa, a causa di una disponibilità spesso esigua, soprattutto negli enti locali, di risorse. Una moderna analisi della spesa può, quindi, permettere di ridurre i costi e ottimizzare gli acquisti.

Raccomandazione 2.6c - Riqualificare la spesa pubblica con l’adozione di soluzioni innovative che ne permettano il monitoraggio

Puntare sull’innovazione, ovvero su moderne soluzioni oggi disponibili sul mercato, come strumento di evoluzione del procurement pubblico e di riqualificazione della spesa pubblica, anche in ottica della riduzione nel medio-lungo termine degli sprechi.


Nuove partnership pubblico-privato

La Corte dei Conti europea (cfr. Rel. N. 9/2018) ha espresso fortissime perplessità sull’utilizzo dello strumento dei partenariati pubblico-privati nell’Unione Europea, evidenziandone le criticità e denunciando una generalizzata carenza di preparazione delle pubbliche amministrazioni nella programmazione e nella gestione delle iniziative che compromette, sul piano operativo, il raggiungimento dei risultati che è ragionevole e lecito attendersi dall’utilizzo dei PPP.

Raccomandazione 2.6d - Favorire la condivisione delle esperienze e l’open innovation, anche promuovendo piattaforme tecnologiche che ne favoriscano la diffusione

Tra le criticità evidenziate dalla Corte c’è anche la mancanza di strumenti di supporto alle amministrazioni che intendano intraprendere questa strada, ivi compresa la diffusione e condivisione di “buone pratiche”.


Dibattito Pubblico

Il DPCM del 9 maggio 2017 introduce in Italia, ai sensi dell’Art. 22 del D. Lgs. 50/2016, il dibattito pubblico per le grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulla città o sull’assetto del territorio. Il Decreto individua, nel relativo Allegato, le tipologie e le soglie di intervento.

Raccomandazione 2.6e - Dato un primo coinvolgimento degli stakeholders del territorio al dibattito, si auspica l’apertura a un numero maggiore di cittadini nelle fasi successive del dibattito stesso

La normativa nazionale dovrebbe prevedere la possibilità di richiedere l’apertura a dibattito pubblico per almeno lo 0,50 per cento dei cittadini, degli stranieri o degli apolidi, che hanno compiuto sedici anni e regolarmente residenti nella Regione, anche su iniziativa di associazioni e comitati. Come, ad esempio, previsto all’art. 8, comma 1.b, della legge 69/2007 della Regione Toscana.

Footnotes

[1]Dati Ragioneria dello Stato, 2016
[2]Il concetto è stato elaborato da Luciano Florindi in The Onlife Manifesto. Being Human in a Hyperconnected Era (2015), e da lui ribadito all’evento Human Digital Transformation il 15 Gennaio 2018 alla Camera dei Deputati https://www.youtube.com/watch?v=G3WqDJ3EbMw (a partire da 1h42min).
[3]Proposta avanzata dall’ Assocazione PA Social