1. Dall’Open Government all’Open Governance

Come abbiamo più volte messo in evidenza nel corso di quest’anno, la PA che ci troviamo davanti nelle sue molteplici espressioni e articolazioni, che vanno dai grandi Ministeri al piccolo Comune montano, dal grande ente nazionale alla piccola USL, è una PA ancora in cerca di paradigmi di innovazione, di un progetto condiviso che informi di sé il lento agire quotidiano. Lo abbiamo ripetuto spesso, appunto. Il cambiamento ci vuole e ci vuole netto. L’innovazione deve investire la parte istituzionale, organizzativa e culturale e trovare nella trasformazione digitale un formidabile alleato.

Il percorso della nostra PA verso una profonda trasformazione, invece, è ancora incompleto. Per semplicità abbiamo usato una descrizione articolata su quattro livelli.

Al primo livello c’è la PA burocratica dove prevale ancora nettamente il paradigma bipolare: da una parte ci sono le istituzioni, dall’altra le famiglie e le imprese. È la PA dove il cambiamento viene spinto da leggi e normative rinovellate, generando quella cultura per cui l’innovazione corrisponde ad un ulteriore adempimento. È la PA che emerge dagli atti, pubblicati in ottobre, dalla “Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie della comunicazione”. Atti, dai quali emerge, appunto, come, solo per fare un esempio, a fronte dell’opportunità offerta dal nuovo CAD di individuare un responsabile a cui affidare “la transizione alla modalità operativa digitale e i conseguenti processi di riorganizzazione finalizzati alla realizzazione di un’amministrazione digitale e aperta, di servizi facilmente utilizzabili e di qualità” gran parte degli uffici ha trasformato quest’occasione in un ulteriore adempimento andando a stravolgere il senso dell’iniziativa. Degli otto responsabili nei Ministeri che hanno seguito la norma, “uno solamente è risultato essere in possesso di una laurea idonea al ruolo ricoperto, nel caso specifico in ingegneria informatica. Nei rimanenti sette casi: cinque sono in possesso di una laurea in giurisprudenza, uno in medicina e chirurgia e uno in ingegneria civile”.

Al secondo livello c’è l’approccio funzionale di quella PA che riconosce all’innovazione un importante ruolo per il miglioramento dei servizi. La cultura prevalente è quella dell’egovernment. È una cultura che viene da lontano, da più di vent’anni fa, dai programmi comunitari, come eEurope2005, che prefiguravano un’Europa più vicina ai cittadini con il diffondersi e l’affermarsi dei servizi online. Un percorso mai completato a cui si riferiscono ancora gran parte delle iniziative strategiche in corso, come SPID, PAGOPA, l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente. Ai cittadini viene data importanza, ma come destinatari dei servizi finalmente innovati. Gli esempi tipici sono gran parte dei portali informativi e di servizio di molte amministrazioni centrali e locali.

Al terzo livello c’è la PA collaborativa. I processi di innovazione sono funzionali ad un nuovo rapporto con i cittadini e le imprese. La cultura prevalente è quella della trasparenza dinamica, dell’open government e della cittadinanza attiva. Vengono raccolti i feedback dei cittadini, viene incentivata la partecipazione al monitoraggio dei servizi, si sostiene la creazione di community. Fanno parte di questa categoria le recenti iniziative del Ministero della pubblica Amministrazione e dell’innovazione sul Terzo Tempo o i progetti a “scuola di Open Coesione”, ma sono soprattutto le città, sia grandi che piccole, il livello istituzionale dove più si sta sperimentando questo approccio.

Infine, c’è la PA abilitante, l’innovazione viene considerata funzione di un nuovo modo di intendere lo Stato. I dati e gli strumenti operativi sono rilasciati per e insieme ai cittadini e agli attori locali (imprese, istituzioni locali) al fine di costruire nuovi servizi innovativi e innovare quelli esistenti. Con la PA condivisa, adottando in pieno il paradigma dell’open government, si realizza il principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale volto a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.

Purtroppo, e questo denota l’approccio verticistico e quindi mistificante al tema, oramai la terza gamba dei tre principi dell’open government, quella della collaborazione, è scomparsa dai documenti ufficiali dove invece si parla di trasparenza, partecipazione e cittadinanza digitale tradendo un approccio vecchio e insostenibile di una PA bipolare, magari per alcuni versi illuminata, ma sempre come cosa “altra” rispetto alla molteplicità degli attori sociali.

Al contrario, una PA abilitante non può che scaturire dalla collaborazione dei diversi attori coinvolti. È la precondizione per quelle che Goldsmith, nel suo ultimo libro[1], chiama governance distribuita e dove funzionari, cittadini e partner esterni lavorano insieme per ottenere migliori risultati per la comunità. Riprendendo i temi sviluppati precedentemente nel suo Governare con la rete

[2], Goldsmith evidenzia che per favorire il cambiamento e combattere la burocrazia è indispensabile il lavoro comune di tutti gli attori locali dell’innovazione. La PA deve fare riferimento a un modello organizzativo che abbandoni la logica verticale a favore di una orizzontale, in grado di coinvolgere i diversi attori pubblici, privati e del non profit, nella progettazione e gestione dei servizi avanzati. Tale obiettivo può essere perseguito attraverso il riconoscimento e la promozione delle reti e delle connessioni sociali, il governo di processi decisionali inclusivi e di progettazione partecipata e l’uso sapiente delle tecnologie andando a configurare una piattaforma, un sistema sociotecnico in grado di abilitare e sostenere lo sviluppo. Da questa prospettiva la PA abilitante diventa una casa aperta di processi, di informazioni, di dati prodotti dai diversi attori e frutto della collaborazione fra questi.

Dobbiamo passare dalla metafora della macchinetta automatica a quella del bazar. Nel primo caso, la PA viene descritta come un distributore in cui, inserendo le monete (le nostre tasse) riceviamo un prodotto o un servizio. Per quanto moderna ed evoluta (magari in grado di ricevere un feedback del servizio offerto) rimane un servizio esterno, dove solo pochi fornitori sono ammessi a vendere i propri servizi e, spesso, l’unico modo che ci rimane, a fronte di un problema della macchina nell’erogazione, è di scuoterla violentemente. Nella metafora[3] del bazar, al contrario, la comunità dei venditori si scambia beni e servizi

[4] in una logica di collaborazione e competizione nell’ambito di uno spazio comune che è il mercato. Le dimensioni moderne del mercato sono le piattaforme come Amazon e Airbnb che hanno rivoluzionato l’economia di questo secolo favorendo l’incontro tra i diversi attori in uno scenario mondiale

[5]. Piattaforme abilitanti che, come scrisse Francesco Profumo, devono essere pensate per «la costruzione di un nuovo genere di bene comune, una grande infrastruttura tecnologica e immateriale che faccia dialogare persone e oggetti, integrando informazioni e generando intelligenza, producendo inclusione e migliorando il nostro vivere quotidiano»

[6].

Se caliamo queste considerazioni nelle dinamiche attuali ci rendiamo conto che ci troviamo davanti ad un paradosso, evidente soprattutto a chi ha seguito i lavori di FORUMPA 2018.

Da una parte c’è un paese che non si arrende, che crede nel ruolo dell’innovazione per meglio competere, per ridare centralità alle istituzioni pubbliche nei processi di crescita territoriale. Un paese fatto di innovatori dentro e fuori la Pubblica Amministrazione e che trovano in FORUM PA un momento di incontro, di crescita e di confronto. In questa edizione 237 incontri, tra laboratori, convegni e momenti di lavoro collaborativo, con quasi 16mila partecipanti. Tre giorni di intensa partecipazione da parte di rappresentanti della PA centrale e locale, operatori qualificati e dirigenti delle principali aziende tecnologiche. Al centro del confronto, i temi strategici per l’agenda politica del Paese e quelli di frontiera del digitale, come l’agenda urbana condivisa, il lavoro pubblico, la programmazione europea post 2020, la gestione, analisi e integrazione dei dati, la sicurezza ICT, la blockchain, la connettività e il 5G, l’internet of things e l’intelligenza artificiale.

Dall’altra parte c’è una struttura amministrativa e politica disallineata con la realtà. Una PA dove prevale ancora la cultura della burocrazia difensiva, una politica che continua ad invitare gli italiani a guardarsi l’ombelico piuttosto che a costruire un futuro condiviso. Nei dibattiti recenti si è parlato di tutto meno che di come sia necessario che la politica si impossessi di una visione organica di futuro, in grado di guidare l’Italia in un progetto di “Paese verso il 2030”, compatibile con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dall’ONU.

Per questo è necessario immaginare e progettare una PA rinnovata e aperta alla collaborazione con i territori, le imprese, le istituzioni. L’innovazione digitale rappresenta non un settore o una politica specifica, ma l’unica vera piattaforma abilitante.

A questo scopo, l’edizione di FORUMPA di quest’anno vuole essere un grande momento di lavoro collaborativo per proporre, tutti insieme, un modello operativo per allineare la nostra PA con il futuro.

Questo Libro bianco è una tappa importante di questo percorso che ci auguriamo possa essere di aiuto per il paese.

Footnotes

[1]A New City O/S. The Power of Open, Collaborative, and Distributed Governance
[2]Governare con la rete. Per un nuovo modello di Pubblica amministrazione, IBS, 2010
[3]Questa metafora venne per prima introdotta da Donald F. Kettle nel suo The Next Government of the United States: Why Our Institutions Fail Us and How to Fix Them, WW Norton & Co, 2008.
[4]Eric Raymond, The cathedral & Bazar, O’Really, 1999.
[5]Geoffrey G. Parker,‎ Marshall W. Van Alstyne,‎ Sangeet Paul Choudary, Platform Revolution: How Networked Markets Are Transforming the Economy and How to Make Them Work for You, W: W. Norton Company, 2016.
[6]Francesco Profumo nella prefazione al libro di Andrea Granelli Città intelligenti? Per una via italiana alle Smart Cities, LibreriaUniversitaria, 2012.